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CENTODICIOTTESIMO GIORNO
Ciao amici miei… una breve pagina di diario per comunicarvi la mia condizione di salute.
Mi trovo a Santiago ormai da qualche giorno dove, riposo e alte temperature climatiche aiutano la guarigione.
Il principio di congelamento aveva colpito tutte le dita dei piedi. Avendolo preso “in tempo” e trattandolo con tempestività sono riuscito a limitare i potenziali danni da congelamento.
La situazione attuale è questa: su tutte le dita dei piedi è presente un forte senso di intorpidimento ma fortunatamente otto su dieci hanno ripreso colore e sensibilità. I due alluci invece no. Il sinistro ha ripreso un po’ di colore e sta relativamente bene mentre il destro è parzialmente di colore nero in necrosi, la sensibilità è assente ed è leggermente più gonfio del normale. Mantengo comunque la mobilità.
Questa è la situazione attuale. Appena rientrerò in Italia (fra 2 giorni), una lastra detterà l’esito e la profondità del problema e quindi il relativo inizio della terapia.
Per il resto mi sento bene e felice di aver concluso con successo l’intero progetto SouthAmericaExtreme.
Un saluto a tutti.
Danilo
SOUTH AMERICA EXTREME – CONCLUSIONE
“Non sono stati i letti morbidi o le belle mangiate
a infiggersi nella mia memoria.
Sono stati i giorni e le settimane passate
nel mondo incontaminato con il freddo e la fame,
a fare di me quello che sono.
… E avevo nostalgia di loro,
per quanto mi facessero anche paura”.
Reinhold Messner
Ho deciso di iniziare questa mia ultima pagina di diario con una celebre frase scritta dal più grande alpinista di tutti i tempi perchè l’ho ritenuta calzare perfettamente il mio stato attuale.
Ripensando ora, seduto tranquillamente e protetto da intemperie, mi rendo perfettamento conto che ciò che ricordo, ciò che è rimasto indelebile nella mia memoria e ciò che in un certo senso mi manca sono proprio quei momenti difficili, dove faticavo a procedere, dove avevo fame e lo stomaco faceva male, dove non avevo la certezza se fosse arrivato “domani”. Lungo questo viaggio ho dormito nei luoghi più strani dal mezzo del deserto a lungo una strada, isolato in qualche spiaggia sul lago o all’interno di stazioni di polizia, da case di contadini o pescatori a seimila metri in una tenda stravolta da venti gelidi. Queste sono le cose che ricordo di più e delle quali sento nostalgia. I momenti duri, difficili ti costringono a reagire. Non hai scelta e la reazione porta inevitabilmente ad un’azione. Questa per me è “libertà”. La vera libertà per me non è andare contro le regole per il gusto di farlo, per sentirsi liberi. Questo purtroppo è un concetto di molti giovani d’oggi. La vera e pura libertà la vivo dentro me stesso, la cerco, la provo e mi confronto con lei. Essere liberi significa per me trovarsi soli, nel mezzo di una Natura difficile e selvaggia dove ogni ritmo, ogni decisione, ogni passo viene deciso da un mio senso di volontà e calcolo. Nessuno mi ha mai costratto a pedalare di più o di meno come nessuno mi ha costretto a decidere come organizzare l’acclimatamento o tante altre cose. La Natura spesso ti mette alle strette e questo lo trovo emozionante e spesso eccitante. Il vento, il caldo, il freddo… fiumi, montagne e deserti questa è Natura con la “N” maiuscola. Un errore di calcolo, un errore di “libertà” può costare caro. Ad esempio sull’Aconcagua ho deciso, come sto facendo da quattro mesi, in autonomia perchè sono libero, perchè mi sento felicemente libero. La decisione di aiutare due persone in difficoltà mi ha portato a rimanere oltre diciassette ore a quote superiori ai seimila metri a bassissime temperature e questo inevitabilmente l’ho pagato con un principio di congelamento alle dita dei piedi. Ma sono felice perchè l’ho deciso io… La Natura mi ha avvertito. Dall’alto mia ha detto: “non scherzare tanto con me perchè alla fine sono io a decidere le sorti di tutti, liberi o non liberi”.
Questo viaggio mi ha dato molto da un punto di vista introspettivo. Vivere per mesi a contatto con una Natura per certi aspetti estrema ti permette di guardare oltre. Noi abbiamo due occhi e due orecchie ma spesso non bastano questi sensi per “sentire”. Ascoltare ad occhi chiusi, l’ho fatto spesso lungo questo viaggio. Ammirare la profondità del cielo disteso accanto alla mia tendina o tastare ed accarezzare le acque blu del lago. Sensazioni uniche che vanno ben oltre a vista ed udito, queste cose per me sono fantastiche. Solo la Natura è in grado di regalare tutto ciò. Non è facile raggiungere certi momenti. Dobbiamo imparare a staccarci da tutto ciò che è facile, da tutto ciò che è “sicurezza”.
Quando sono partito mi sono detto: “Danilo, stai lasciando la certezza per l’incertezza” beh ora dico anche che se non fosse stato così probabilmente non sarei neanche partito e sicuramente tutto ciò che avrei vissuto non avrebbe avuto lo stesso significato.
Vivere dei mesi a stretto contatto con Natura, culture, persone e animali è molto difficile ma è in assoluto la cosa più forte o ci entri e vieni tagliato fuori.
Questo viaggio mi ha insegnato il concetto di “lentezza”. In un mondo frenetico, impazzito dove tutto subito dove se vai in un bar e non ti arriva entro tre secondi il caffè si inizia a brontolare beh devo dire la verità, in questi quattro mesi ho VISSUTO! Quasi Trecento chilometri in canoa alla media di quattro chilometri orari, oltre Quattromilacinquecento chilometri in bicicletta alla media di nove chilometri orari e il raggiungimento del tetto delle Americhe alla velocità di un bradipo. Tutto ciò mi ha insegnato che si può arrivare ovunque l’importante è volerlo, fortemente volerlo.
“I LIMITI ESISTONO SOLTANTO NELLA NOSTRA TESTA”
Danilo Callegari
ACONCAGUA 13 – conclusione
Eccomi amici miei… sono rientrato a Santiago. Con questa ultima pagina di diario sulla salita all’Aconcagua mi limiterò a raccontarvi il giorno del raggiungimento della cima e l’indomani col raggiungimento del campo base e quindi il rientro in elicottero.
“Sono le ore 03:00am ed ecco che, come faccio da ogni minuto, guardo l’orologio… è ora di alzarsi Danilo (ovviamente parlo con me stesso). Esco lentamente dal mio involucro tiepido e malgrado sia “avvolto” da piuma d’oca sento il freddo ovunque. L’interno della mia tendina è ricoperto di finissimo ghiaccio ed ogni folata di vento lo fa ricadere su di me. Fino a circa mezz’ora fà una bufera ha portato su tutto l’ambiente circostante vento, freddo e abbondante neve. Lentamente apro la cerniera della mia “porta di casa”… un quarto di luna calante ed una stellata come non ho mai visto prima d’ora in vita mia mi riempiono gli occhi. Stupefaciente! A seimila metri non potrebbe essere diversamente. Impiego un’ora ad infilarmi i pantaloni in gore-tex e gli scarponi. Ogni cinque secondi di lavoro a mani nude ne seguono almeno trenta di riscaldamento delle mani con guanti addosso. Alle 04:00am eccomi pronto a muovere. Uscito dalla tenda, nel quasi buoio totale, utilizzando il GPS mi dirigo verso il Ghiacciaio dei Polacchi. Il lungo traverso mi mantiene con se per cinque lunghe ore con una neve alta fino quasi all’inguine. Fatico a procedere ma riesco comunque a portarmi alla sua fine a quota 6.200 metri. Nel frattempo il tiepido sole sale oltre l’orizzonte. L’intera Cordigliera si apre davanti al mio sguardo. Uno spettacolo incantevole. Malgrado il freddo, rimango diversi minuti ad ammirare quanto è magnifica questa Natura. Procedo attraverso un tratto di misto portandomi quindi sulla cresta ovest. Un altro lungo tratto di misto a parti molto esposto, dove la neve non manca mai, mi porta verso l’ultimo tratto in direzione della sudata cima. Ogni tre o quattro passi sono costretto a diversi minuti di forzato riposo per la mancanza di ossigeno. Mi sento un automa. Il meteo si mantiene variabile, enormi nuvoloni grigi lasciano spazio ad ampie schiarite. Il vento si mantiene moderato. Davanti a me molte persone fanno ritorno non avendo raggiunto la cima. Troppo dura, troppo difficile… altri la raggiungono in piene forze ed altri purtroppo arrivano fin su senza pensare che manca ancora tutto il rientro, probabilmente la parte più difficile ed insidiosa. Dopo un lungo tratto di cresta sommitale tra ghiaccio, roccia e nuvole alle 15:27 del 19 gennaio 2012 raggiungo la tanto voluta e sognata cima del Cerro Aconcagua alla quota di 6.962 metri. Indescrivibili le emozioni provate. Ho pianto, ho riso, ho pensato a tutta la strada fatta per arrivare fin quassù… mille emozioni ingarbugliate tra loro. Dopo circa quaranti minuti decido di scendere e cominciare quiundi il rientro al campo 2. A circa cento metri sotto la vetta noto davanti a me due scalatori in serie difficoltà. Barcollano, faticano a reggersi in piedi e il primo davanti a me cade verso il dirupo fermandosi casualmente poco prima degl’oltre mille metri di vuoto. Immediatamente vado in suo soccorso con una corda. Facendola breve, con grandissima fatica, a passi lenti e sotto un cielo nero in continuo peggioramento con quasi assenza di visibilità riesco ad accompagnarli giù al loro accampamento a 5.500 metri. Con un terribile freddo addosso e ormai molto tardi come orario, risalgo fino a quota 6.200 metri per riaffrontare il difficile Ghiacciao dei Polacchi e rinetrare alle ore 21:00 circa alla mia tenda al campo 2. Ho freddo, sono stanco, la temperatura esterna è di -35°C, il sacco a pelo è semighiacciato. Mi infilo subito dentro con la speranza di scaldarmi ma… niente. Verso le 08:00am mi sveglio e purtroppo mi trovo costretto a constatare che quelle troppe ore passate a basse temperature e a quote alte mi hanno fatto perdere la sensibilità alle dita dei piedi procurandomi un principio di congelamento. Cerco di fare il possibile per riportare la circolazione ma senza alcun effetto. Decido quindi di smontare il campo e con grandissima fatica scendo sulle mie gambe i duemila metri di dislivello tra neve, ghiacci e roccia fino ai 4.200 metri del campo base. Un medico mi visita e immediatamente mi ritrovo seduto sull’elicottero che mi accompagnerà a quota 2.550 metri a Los Relincos…”
Il resoconto più dettagliato con emozioni e difficoltà vissute cercherò di raccontarlo attraverso le serate di presentazione dell’intero viaggio.
Un grazie va a tutti coloro che mi hanno seguito lungo questa scalata alla montagna più alta di tutte le Americhe.
ACONCAGUA 12
Messaggio inviato da telefono satellitare:
Vi scrivo dopo alcuni giorni perchè, dopo aver raggiunto la cima a
6.962mt, nella prima fase di discesa ho soccorso due scalatori in serie
difficoltà causate dalla quota.
Avendo trascorso molte ore a temperature inferiori ai -30C e ad alte
quote ho riportato un princio di congelamento alle dita dei piedi.
Dal campo2 (5.850mt) ho raggiunto da solo e con grandi difficoltà il
campo base (4.200mt), dove sono stato visitato dal medico ed
elitrasportato immediatamente a Los Relincos (2.550mt) per
evitare il peggioramento della situazione.
Quando avrò sistemato alcune cose e appena sarò a Santiago vi
racconterò tutto. Un saluto a tutti. A presto.
ACONCAGUA 11
Messaggio inviato da telefono satellitare:
Oggi alle ore 15.30 ora locale ho raggiunto con successo la vetta del Cerro Aconcagua 6.962mt.
Non ci sono parole per descrivere l’emozione di fronte al raggiungimento di un tale obiettivo.
Un saluto a tutti.
ACONCAGUA 10
S 32° 38′ 273″|*coordinate*|W 69° 59′ 578″|*special*|
Messaggio inviato da telefono satellitare:
Come avevo pianificato oggi ho dedicato la giornata all’acclimatamento al campo 2 a quota 5.850mt.
Nonostante la giornata di riposo gli effetti della quota e la stanchezza cominciano a farsi sentire, neanche le condizioni meteorologiche sono dalla mia parte infatti questa notte la temperatura all’interno della tenda è scesa a -25°C
Mi scuso per il mancato collegamento con radio Rai ma imperversava una bufera e il telefono non riusciva ad agganciare il satellite.
Questa notte alle 4:00 ora locale tenterò l’attacco alla cima a quota 6.962mt
Un saluto a tutti