Cari amici, vi scrivo da una stanzetta di hotel situato nel piccolo villaggio di Cheget alle pendici del monte Elbrus.
 Ieri sono sceso da questa splendida e gelida montagna a due “coni”, un’intera settimana passata con l’obiettivo di raggiungerne la cima.
 Ho trovato più giorni di tempo pessimo e qui è normalità, non per niente questa montagna risulta difficile da scalare da un punto di vista prevalentemente climatico. Durante i miei studi, le ricerche varie che nei mesi ho effettutato in merito alle difficoltà oggettive, tutte parlavano di grandi problematiche legate al clima (basse temperature, venti forti e assenza di visibilità); ovviamente un conto è leggere o ascoltare testimonianze, altro è vivere le situazioni in prima persona e per di più soli.

Sinceramente ero un po’ incredulo fino al punto che non ci ho “sbattuto il naso”. Incredibile è come, nel giro di pochissimi minuti, ci si trovi davanti ad un muro bianco di nebbia, nuvole e neve alzata dai forti venti gelidi al punto da non riuscire a vedere oltre due metri davanti ai nostri piedi. Una vera e propria sensazione di tuffarsi dentro l’ignoto. 
Unico modo di procedere: attraverso GPS.

In molti momenti credevo di impazzire, davanti a me il nulla totale, non vedevo niente e le possibilità di perdersi, sbagliare percorso potevano portarmi alla morte come è successo a molti alpinisti proprio in questa montagna e parlo di alpinisti con esperienza Himalayana.

I “barrels”, che ho definito come il mio campo base, li ho raggiunti prima attraverso una vecchia e maltenuta cabinovia e poi salendo un sentiero due volte per portarmi su tutto il materiale fino a quota 3.700 metri. 
Inizialmente ho dormito in una vecchia costruzione semidistrutta dove freddo e vento convivevano perfettamente, successivamente ho alloggiato all’interno di uno dei “barrels”.

Da questo punto mi sono portato a quota 4.100 metri al mio Campo 1 dove con due salite/discese mi sono portato tutto il materiale per sopravvivere più giorni.
 Il programma prevedeva un campo alto a quota 4.800 metri, il campo 2, che ho evitato per motivi di elevato rischio valanghe dal momento in cui era caduta molta neve rendendo il versante instabile.

Dal campo 1 sono quindi partito direttamente alla volta della cima dell’Elbrus. Partito alle ore 4.20 am locali in sette ore ho raggiunto l’agognata vetta, il tetto d’Europa.
 Per ben cinque ore circa venti fortissimi e freddo intenso mi hanno tenuto compagnia rendendo difficoltosa la scalata anche se devo ammettere di aver potuto ammirare la più bella alba della mia vita.
Una palla di fuoco che lentamente, salendo, illuminava l’intera catena montuosa caucasica.
 Momenti dove ci si rende conto della bellezza della Natura. Un Natura estrema in grado di regalare emozioni e sensazioni uniche.
 Oltre i 4.800 metri ho avuto serie difficolta nel procedere causa problemi respiratori. Ero inconsapevole del motivo dal momento in cui non mi trovavo a quote altissime ma le sensazioni erano le stesse come se mi trovassi a 7.000 metri.

Successivamente ho saputo che la cause di queste mie difficoltà respiratorie erano da collegate ai “gas” che fuoriescono dall’Elbrus, essendo questo un vulcano dormiente.
 Il raggiungimento della cima è stata un’emozione incredibile, una vista mozzafiato su tutta la catena montuosa fino alla vista del Mar Nero.
 Ovviamente non ci sono parole per descrivere certi momenti, intimi con me stesso e questa Natura che tanto mi sta regalando in questi anni.
 Ora l’obiettivo rimasto è di rientrare a casa in sella alla mia bicicletta.

Con questo vi saluto ma soprattutto vi ringrazio di cuore tutti voi miei cari sostenitori.
Un abbraccio,
Danilo.

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