NOVANTOTTESIMO GIORNO

Miei cari amici oramai sono quasi arrivato ai cento giorni di viaggio da quando, nel lontano tre settembre ho lasciato l’Italia.

Nove giorni sono trascorsi dall’ultimo aggiornamento su questo diario, mi trovavo ancora nell’Uttar Pradesh, precisamente nella città di Agra e ora rieccomi qui a digitare i quasi consumati tasti del computer portatile da un’altra bellissima località, famosa per la sua “città blu”, per la “torre dell’orologio” e per il “forte” che la sovrasta… parlo di Jodhpur, nel cuore del Rajastan. In questi ultimi 600 chilometri ho vissuto così intensamente ogni singolo istante provando emozioni e vivendo situazioni talmente particolari e intense che mi viene difficile riuscire a metterle nero su bianco. Più vado avanti, più entro in questa India e più mi rendo conto che è straordinaria. Credetemi quando vi dico che non saprei da dove iniziare a raccontarvi come ho passato e vissuto gli ultimi nove giorni. Pedalo per molte ore al giorno, vivo sulla strada e nella strada fatico, sudo, mangio, parlo con la biciletta, faccio gli incontri più assurdi e straordinari… il territorio è mutato da pianeggiante a collinare con delle basse montagne spigolose color ocra a fare da contorno e ora sono passato ad un ambiente prevalentemente desertico. Poco prima di raggiungere la città di Jaipur, nonché capitale del Rajastan, si è accidentalmente rotto un raggio della ruota posteriore della mia bicicletta, fortunatamente riparato presso una specie di negozio lungo la strada. Per il resto la bici funziona benissimo. Fisicamente mi sento bene anche se stanco e sempre più provato dai tanti chilometri alle spalle. Le gambe sono spesso indolenzite e ho continui dolori ai muscoli della schiena a causa della posizione che mantengo per così tante ore. Le temperature sono molte alte, pensate che son tre giorni che il termometro dalle 10:30am non scende sotto i 40°C! In cielo non c’è alcun tipo di nuvola nemmeno di piccole dimensione, uno spettacolare cielo azzurro mi sveglia la mattina e mi accompagna fino a sera lungo questa mia marcia verso ovest. Le persone sono indubbiamente meno invadenti, più rispettose e anche un po’ più colte rispetto a quelle incontrate nello stato precedente. Oggi, dopo 80 chilometri ho attraversato la cinta  muraria che proteggeva questa città diversi secoli or sono. Ora infatti mi trovo al suo interno alloggiato presso una guest house con vista sull’imponente forte. In tutta la città però si respira un’aria di leggera tensione o almeno io l’ho percepita ancora a diversi chilometri di distanza quando lungo la strada hanno iniziato a sfilarmi numerosi convogli militari, mezzi completamente armati (parlo di mitragliatrici pesanti e leggere poste sopra), elicotteri e aerei da combattimento che pattugliano costantemente questi cieli, tre basi militari situate appena al di fuori delle mura… ho cercato di scattare alcune fotografie ma i militari me l’hanno giustamente impedito, ci ho riprovato ma un ufficiale mi fatto cancellare la foto scattata, se avessi fatto una cosa del genere in Russia o in Cina a quest’ora sarei dietro le sbarre, ma si sa che l’esercito indiano ha una buona dose di elasticità e tutto si risolve con un sorriso e una sincera stretta di mano. Questo dispiegamento di forze avviene per la vicinanza con il Pakistan e le misure di sicurezza si sono alzate dopo l’attentato a Mumbai da parte di una cellula terroristica di matrice pakistana. Ma almeno qui non c’è il coprifuoco delle 9:30pm che avevo quand’ero nel Kashmir nel 2009.

Domani, una volta uscito dalla città, inizierà la difficile traversata del Deserto del Thar. Conto di impiegarci sei giorni, in totale isolamento, attraverso un territorio difficile ed impegnativo. Da prima punterò verso nord per una quarantina di chilometri per poi dirigermi verso ovest fino ad arrivare a pochissimi chilometri dal martoriato confine di stato… da quel punto riprenderò la marcia verso nord-est fino a raggiungere la città di Jaisalmer nel cuore del deserto per un totale di circa 350 chilometri.

Un grande e sincero saluto a tutti voi,

Danilo

OTTANTANOVESIMO GIORNO

Vi sto scrivendo comodamente seduto su una sedia nel mezzo di un incantevole giardino interno di una guest house di Agra, in questo mio primo giorno di riposo da quando sono partito da Kathmandu.

Con la pedalata di ieri ho superato la soglia dei 1.000 chilometri percorsi. Attraversando l’intero Uttar Pradesh (lo stato più popoloso dell’India) sono giunto fin qui, nella caotica e famosissima città di Agra. Questa mattina la sveglia è suonata alle 5:00 per correre a fotografare il Taj Mahal nel suo momento migliore, alle prime luci dell’alba. Uno spettacolo artificiale incantevole impossibile da descrivere, non per niente è una delle sette meraviglie del mondo (ultima foto pubblicata qui sotto). Fisicamente mi sento bene a parte dei normali dolori muscolari alle gambe, psicologicamente sono carico e con la testa giusta per continuare al meglio questo lungo viaggio attraverso l’affascinante e bizzarro sub-continente indiano. Nelle ultime due settimane ho pedalato sulla più vasta zona pianeggiante e fertile dell’intera India, incastonata tra i due fiumi sacri per eccellenza: il Gange e lo Yamuna. Il clima è straordinario con temperature minime registrate di 27°C e massime di 36°C, con pochissima umidità, un leggero vento quasi costantemente da ovest nord-ovest e un cielo perennemente terso. A questo clima tanto clemente si somma purtroppo un traffico di auto, camion e moto incontrollabile portando così i livelli di inquinamento atmosferico alle stelle; per non parlare degli scarichi a cielo aperto e degli accumuli di immondizia ai bordi delle strade che per di più vengono bruciati!! Purtroppo questa è l’altra faccia della medaglia. Le persone continuano ad essere molto interessate a me e alla mia bicicletta diventando in questo modo pressanti e invadenti. L’India per questo è un cocktail micidiale… sommate ad un popolo così “presente”, un numero che supera il miliardo di unità… ed il risultato è ciò che vivo quotidianamente. Rimane comunque eccitante passare attraverso polverosi villaggi e tra i mille odori percepire la fragranza di spezie, ortaggi freschi ed incensi… venduti lungo la strada da uomini, donne, anziani e bambini. Ammirare il lento e cadenzato passo di dromedari che trainano malconci carretti in legno oppure farmi fermare da incantatori di serpenti che pretendono una fotografia al ratto appena catturato da dare in pasto al proprio cobra… Ribadisco che l’India è un insieme di contraddizioni, nulla di ciò che vedo sembra avere un filo logico ma al tempo stesso tutto fila attraverso un sistema incomprensibile che caratterizza questo grande Paese capace di renderlo quello che è: UNICO!

Domani riprenderò la marcia verso ovest entrando in un nuovo stato: il Rajastan.

Su una guida ho letto che è l’anima romantica dell’India, avvolta in sari e turbanti sontuosi. Sicuramente è uno degli stati più belli e particolari, con una netta prevalenza musulmana ma per me rappresenterà un punto chiave dell’intera avventura, una traversata importante e difficile nel mezzo delle aride terre sabbiose, dove inizierò a puntare verso sud. Il Rajastan o Terra dei Re (come veniva chiamato anticamente) è uno stato arido e secco famoso per il grande Deserto del Thar che ne ricopre gran parte spingendosi fino al Pakistan. Cercherò di attraversare questo deserto (settimo a livello mondiale per estensione) lasciando la strada principale per addentrarmi attraverso piste sabbiose fino al suo cuore più remoto, una traversata est-ovest prima e nord-sud poi… partirò carico con sacche d’acqua e tutto il necessario per la sopravvivenza. Data la stretta vicinanza con il martoriato Pakistan, mi auguro che i militari non mi impediscano l’ingresso in quelle aree isolate popolate da gazzelle, antilopi, lupi e il famoso leone del Thar, il quale spero vivamente di non incontrare.

Ci sentiremo quanto prima amici miei,

Danilo

PS: tutte le foto sono state scattate nello stato dell’Uttar Pradesh

OTTANTATREESIMO GIORNO

Dopo diversi giorni di “silenzio” eccomi nuovamente a scrivere su questo diario telematico. Oggi ho raggiunto la città di Lucknow, capitale dell’Uttar Pradesh, lo stato più popoloso dell’intera India.

Ma voglio tornare indietro di nove giorni, al momento in cui ho lasciato Kathmandu in sella alla mia bicicletta. E’ stato indubbiamente un momento emozionante dopo così tanti giorni passati nella capitale nepalese. In pochi chilometri ero già fuori dalle porte della città e il contorno si è subito fatto più silenzioso e tranquillo. Mi sono ritrovato solo, nei miei silenzi immerso tra i miei pensieri. Pedalata dopo pedalata, chilometro dopo chilometro il territorio attorno a me ha cominciato a mutare, mi sono immerso tra le splendide montagne del Nepal, ricoperte da fittissime foreste e solcate da impetuosi fiumi, un vero paradiso naturale. Ad un certo punto ho lasciato direzione ovest, verso Pokara, per puntare a sud, attraversando così la zona del Chitwan famosa per la sua grande foresta. Un ultimo passo montuoso mi ha portato verso la fine delle salite per accompagnarmi dolcemente attraverso le pianure a stretto confine con l’India. Dall’apice di quest’ultima salita, mi è stato regalato un ultimo suggestivo scorcio sulle innevate vette Himalayane illuminate dalla luce del tramonto. E’ incredibile come i tratti somatici delle genti cambino nel giro di pochissimi chilometri. Appena ho raggiunto la cittadina a quattro chilometri dal confine indiano, ho immediatamente notato che non ero più in mezzo ai nepalesi conosciuti fino ad ora, bensì in mezzo a veri e propri indiani. E’ cambiato il taglio degli occhi, il sorriso, il colore della pelle e inevitabilmente il disordine che imperversa in tutta l’India, si ripercuote anche sui confini nepalesi.

Il 21 di questo mese ho messo le mie ruote e i miei piedi sul suolo indiano. Dopo aver svolto le faccende burocratiche legate all’uscita dal Nepal e il successivo ingresso in India (fortunatamente senza alcun problema), mi sono dovuto confrontare da subito con una realtà per niente facile. Uno stato di povertà avanzato, immondizia ovunque, scarichi a cielo aperto, igiene inesistente, traffico e smog da impazzire per non parlare dei clacson che qui si sprecano… so che questa è l’India, però non pensavo di imbattermi da subito in una realtà così difficile. Oramai sono giorni che pedalo su questa terra e di conseguenza mi sto adattando e abituando anche se in India la parola “abitudine” credo non esista nemmeno nel vocabolario. Sono una persona che si adatta facilmente alle più svariate situazioni quindi anche qui sto facendo lo stesso, ma se volete vivere, vedere, provare cose folli, bizzarre, assurde, pazze… venite in India. Qui tutto è il contrario di tutto. Avrei mille aneddoti da raccontarvi ma mi dilungherei troppo, ogni istante passato qui è un’avventura. Gli indiani sono un popolo molto rumoroso, pressante, a tratti pesante ma quantomeno privi di malignità, buona gente. Con loro mi trovo bene, condivido molti momenti della giornata, mangio insieme a loro, mi gusto il tè con loro lungo la strada, li insulto per questi maledettissimi clacson anche se ormai, spesso, ci rido sopra. Sto mangiando di tutto, provo i piatti più tipici possibili e credetemi se vi dico che la cucina indiana è una delle cucine più variegata che abbia mai provato in vita mia. Come ho scritto all’inizio, ora mi trovo nella capitale dell’Uttar Pradesh, una città con oltre 2,5 milioni di abitanti. Vi lascio immaginare cosa voglia dire pedalare nel mezzo di una città di queste dimensioni per di più con il traffico indiano. Una vera e propria avventura nell’avventura. Tra cinque giorni raggiungerò la famosa città di Agra dove sosterò un giorno per poi riprendere la mia marcia verso ovest ed entrare quindi nel Rajasthan. Cambiare stato all’interno dell’India significa cambiare ambiente, cucina, mescolanze etniche… tutto ciò è molto stimolante. In questi giorni sto pedalando senza alcun dislivello, in assenza di vento e con temperature che non scendono mai sotto i 29°C per di più con pochissima umidità. Se non fosse per il  traffico caotico e lo smog, sarebbe una favola.

Amici miei sto stringendo i denti, voglio a tutti i costi portare a termine questa grande avventura unendo così la “testa” (Himalaya) con i “piedi” (Kanyakumari) dell’India. In questi nove giorni ho coperto i primi 700 chilometri, ne mancano ancora molti ma rimango entusiasta malgrado la situazione non sia sempre delle più rosee.

Un grandissimo abbraccio dalle immense e fertili pianure indiane,

Danilo

PS: LE PRIME 15 FOTOGRAFIE SONO STATE SCATTATE IN INDIA, LE SUCCESSIVE 14 IN NEPAL

18-11-2013 DANILO CALLEGARI: DALL’HIMALAYA ALL’OCEANO

Kathmandu, 18 novembre – Danilo Callegari è partito ieri per la seconda parte della sua impresa: collegare Kathmandu (Nepal) a Kanyakumary (India) in bicicletta, percorrendo un totale di 4.500 km in 70 giorni.
Danilo era partito il 3 settembre per una ambiziosa avventura: raggiungere la vetta dello Shisha Pangma (8.027 m, Himalaya, Tibet) in completo stile alpino, senza avvalersi di ossigeno supplementare, di portatori d’alta quota, né di corde fisse, per poi percorrere in bici i 4500 km che separano la catena Himalayana da Kanyakumary, all’estremo sud dell’India. Nel corso della sua permanenza in Tibet, Danilo è salito e sceso sullo Shisha Pangma per ben cinque volte: per montare il DC (Campo Deposito) a circa 6.000 metri sulla morena che anticipa l’Ice Fall; per allestire Campo 1 a 6.380 m, dove ha riposto gran parte dei materiali; per montare Campo 2 a 6.950 m, dove ha anche trascorso una notte e perfezionato il suo acclimatamento.
A questo punto ha tentato per ben due volte a distanza di pochi giorni di raggiungere la vetta, ma è stato costretto a rinunciare a causa delle pessime condizioni metereologiche e della neve lungo la via. Nel corso dell’ultimo tentativo, l’alto numero di valanghe (ne ha contato ben 19 in una sola mattinata a Campo 1) e una pericolosa caduta dentro ad un profondo crepaccio mentre era in marcia verso Campo 2, l’hanno convinto a tornare indietro senza nemmeno riuscire a ritornare a Campo 2, tanto la situazione si era fatta pericolosa.

Al rientro a Kathmandu ha dovuto fare un’interminabile trafila burocratica per ottenere un nuovo visto indiano (dato che il suo era rimasto al Campo 2) che l’ha costretto ad una pausa forzata di circa venti giorni nella capitale. Con in mano un nuovo visto per l’India di 3 mesi, ieri Danilo ha iniziato il secondo capitolo della sua avventura: attraversare tutta l’India in sella alla sua bicicletta fino a raggiungere Kanyakumary, il punto più a sud del paese dove il mare del Bengala, l’Oceano Indiano e il mare Arabico si incrociano.
La partenza di Danilo avviene in un momento di particolare tensione in Nepal. Infatti a pochi giorni dalle elezioni politiche, si moltiplicano i disordini e gli episodi di violenza e le strade del paese sono pattugliate da militari armati.
Danilo uscirà dalla capitale andando in direzione sud, per poi svoltare a ovest e raggiugere il Parco Nazionale del Chitwan. Superata la foresta del Chitwan, dove vivono tante specie di animali tra i quali elefanti, rinoceronti, scimmie e tigri, si dirigerà verso sud per raggiungere il confine con l’India.

Una volta in India, percorrerà in direzione ovest più di mille chilometri, attraverso le fertili pianure tra i fiumi sacri, passando per Agra, fino a raggiungere il lontano e remoto deserto indiano del Thar a confine con il Pakistan. Attraverserà tutto il deserto e passerà per la città di Jaisalmer, affrontando l’isolamento e le forti escursioni termiche tipiche delle zone desertiche. Lasciatosi alle spalle il deserto, raggiungerà la famosa “west cost” indiana, la lunghissima costa affacciata sull’Oceano Indiano viaggiando lungo la strada parallela al mare. Passerà attraverso la grandissima e caotica città di Mumbay e l’esotica Goa più a sud, dove è prevista una tappa di un paio di giorni per recuperare le forze in previsione dell’ultimo scatto di oltre 1.000 chilometri verso la meta finale: Kanyakumary.

6.380 m tenda a Campo1. La mattina del secondo e ultimo tentativo alla cima

6.380 m tenda a Campo1. La mattina del secondo e ultimo tentativo alla cima

6000 m Sosta alla fine del Icefall

6000 m Sosta alla fine dell’Icefall

ABC 5.600 m controllando i livelli delle batterie mentre il pannello solare le ricarica

ABC 5.600 m controllando i livelli delle batterie mentre il pannello solare le ricarica

SETTANTUNESIMO GIORNO – KATHMANDU

Sono trascorse più di due settimane dall’ultimo aggiornamento su questo mio diario ma ho avuto i miei buoni motivi.

Mi trovo ancora a Kathmandu, in questo periodo ho “lottato” con tutte le mie energie per riuscire ad ottenere l’importante visto India. Lo so potrà sembrare assurdo essere costretti ad aspettare quasi venti giorni un banalissimo visto di tre mesi, però le autorità indiane sono molto restrittive e hanno i loro tempi a volte biblici, ma come sempre ciò che conta è il risultato finale. Hanno cercato di scoraggiarmi in tutti i modi, ma alla fine, chi la dura la vince!

Questo il resoconto dei cinque “incontri ravvicinati” con le autorità indiane qui a Kathmandu:

è martedì 29 ottobre quando mi dirigo con il mio bel passaporto e un fresco visto Nepal appena fatto, presso il consolato indiano a Kathmandu accanto all’ambasciata indiana. Dopo tre ore e mezza di coda chiedo come procedere per la richiesta del visto. Guardano in modo scettico questo mio passaporto verde con la scritta “PASSAPORTO TEMPORANEO”, ma non dicono nulla a riguardo. Mi danno appuntamento a domani con tutte gli incartamenti richiesti (un bel plico). Nel pomeriggio stesso svolgo tutte le pratiche e la mattina del 30 ottobre mi faccio ritrovare lì pronto con tutto il materiale in mano. Dopo le consuete ore di attesa arriva il mio turno. L’addetto ritira la documentazione, la controlla e mi ridà appuntamento al giorno 6 novembre per il ritiro del visto. Il 6 mattina sempre preciso, mi faccio trovare nuovamente davanti allo sportello questa volta dopo quattro lunghe ore in fila. In cinque secondi l’addetto indiano mi liquida comunicandomi di tornare dopodomani, l’8 novembre. Chiedo il motivo e rispondendomi in modo frettoloso mi dice che le autorità indiane devono chiarire la mia posizione con le autorità italiane. Praticamente mi sta dicendo tutto e niente. Mando giù il rospo ripresentandomi il giorno prefissato. Purtroppo, ecco la fotocopia di due giorni prima. Solita fila e solita risposta liquidatoria: torna il 12! Ripongo la domanda del perché e anche la risposta rimane invariata. Quando ho percepito il reale rischio di non ottenere il visto essendo costretto quindi a rientrare in Italia, ho inizio a fare delle telefonate a contatti che ho qui in Nepal e al Consolato Italiano a Calcutta. Questa volta torno la mattina del 12 forte per la mail personale che il console italiano ha inviato direttamente all’ambasciatore indiano a Kathmandu chiedendo di fare chiarezza su questo stallo e sul motivo per cui non mi abbiano ancora rilasciato il visto. Ecco che, come per magia, mi ridanno appuntamento al giorno dopo, il 13 (cioè oggi) alle ore 5:00 pm per ritirare il tanto sudato visto. Tutto il mondo è paese amici miei!! Oggi puntuale ritiro il mio passaporto con annesso visto India della durata di 3 mesi. Questo il resoconto per l’ottenimento di un visto per entrare in India essendo in possesso di un passaporto temporaneo valido ovunque nel mondo e con validità un anno. Pazzesco!

Oltre alle frustranti lotte burocratiche, qui a Kathmandu mi sono realmente ambientato, ho fatto molti amici e conosciuto molte persone di ogni razza e nazionalità. Oramai giro per questa città come fosse la mia. Essendomi totalmente integrato… mi sono abituato ai clacson che vengono suonati h.24 quasi ogni secondo, ai mendicanti che continuano a chiedere elemosina ad ogni angolo, alle pressanti offerte di droga da parte di mille ragazzi lungo le strade, ai taxisti che ogni attimo rallentano per chiedermi se voglio salire facendomi un report sulle loro mega offerte… ai cani randagi, alle strette di mano con un’infinità di persone che spesso neanche conosco, ai risciò spinti dalle gambe di assurdi nepalesi, al riso condito dalle più svariate varietà di spezie, alla moltitudine di personaggi bizzarri ed eccentrici, alle persone estremamente amichevoli che non dimenticherò mai… insomma, tutto questo si riassume in un’unica parola: KATHMANDU.

Attualmente qui in Nepal è periodo elettorale e le strade sono pattugliate giorno e notte da militari in antisommossa ben armati, perché qui la gente non si limita a slogan usando bandiere, qui sparano. Sparano per le strade, fanno esplodere bombe… insomma il clima è abbastanza teso motivo in più per il quale dovrò mantenere un’altissima soglia di attenzione dal momento in cui tra pochissimi giorni partirò. Oltretutto le zone sud, quelle al confine con l’India sono le più sensibili. Sono comunque sempre molto carico ed estremamente motivato spinto da un entusiasmo particolare dopo tutti questi giorni di “sosta forzata”. Ho sete di avventura e voglia di scoprire luoghi affascinanti che caratterizzano il Nepal e l’India.

Le foto qui sotto riassumono la Kathmandu “di strada”, quella che più amo.

 

A prestissimo amici miei,

Danilo

 

 

CINQUANTATREESIMO GIORNO – KATHMANDU

Come promesso dall’ultima pagina di diario, scrivo quest’ulteriore pagina da Kathmandu dedicandola ad una religione, il Buddismo, che oltre ad essere tale è una vera e propria filosofia di vita, almeno per me. Che nessuno me ne voglia x queste mie parole ma “sposo” questa religione per molti suoi aspetti. Prima in Tibet, insieme ai Lama che hanno guidato la mia mente verso quegli “Ottomila” per ora non raggiunti e qui in Nepal dove ho modo di continuare a praticare e seguire i fondamenti del Buddismo, che ripeto, oltre ad essere un’importantissima religione è uno stile di vita che inevitabilmente aiuta chiunque a vivere più serenamente.

Dopo essermi esposto in un pensiero del tutto personale, vi voglio aggiornare su questa ulteriore settimana passata qui nella capitale in attesa di un passaporto che arriverà lunedì, quindi tra due giorni.

Le giornate più che passare volano. Due settimane sono oramai trascorse dal mio approdo qui. E lo ammetto amici miei, mi sono realmente ambientato, sto bene e con la popolazione mi trovo sempre meglio. E’ come vivere in un’altra dimensione fisica e mentale. Come ho deciso di visitare ed “entrare” dentro quell’affascinante cuore Hindu… lo stesso ho fatto nel fulcro del Buddismo appena fuori il centro città. Dove tutti i pensieri, i profumi degli incensi e quella forte energia emanata dalle preghiere dei Lama all’interno di ombrose stanze,si concentrano. Ho visitato i due luoghi più importanti: il Boudhanath e lo Swayambhunath. Il Boudhanath famoso per l’imponente Stupa (monumento spirituale buddista) è situato ad est nord-est rispetto al centro di Kathmandu. L’atmosfera che si respira è straordinaria in particolar modo quando si guardano i due grandi “occhi”, simbolo di questa religione, disegnati sotto la luccicante cupola dello Stupa. Camminare attorno all’immensa struttura girando gli innumerevoli mulini  di preghiera… assaporare i profumi delle ceneri fumanti… ascoltare i rumori del vento che innalza e scuote le migliaia di bandiere di preghiera… sensazioni indescrivibili in un Paese tra i più particolari al Mondo. Ora però passiamo ai 500 scalini per raggiungere l’altro luogo simbolo del Buddismo:    lo Swayambhunath (the Monkey Temple) ovvero, il Tempio delle Scimmie. Questo luogo ha davvero un fascino tutto suo, molto particolare. Uno dei suoi punti forti, oltre allo splendido Stupa, è la sua posizione. Si trova infatti su un’altura che sovrasta e domina l’intera capitale regalando così scorci mozzafiato sulle migliaia e migliaia di strutture edilizie di ogni genere poste con un “disegno” all’apparenza molto confuso.    Per raggiungere questo luogo bisogna risalire i 500 scalini, una vera e propria ascesa verso il cielo… accompagnati da decine di scimmie, simbolo di questo luogo e animale sacro.

Come per l’induismo, credo e spero che le numerose foto qui sotto riescano a rendere più onore a questi luoghi e a questa religione rispetto alle parole appena scritte.

Un abbraccio miei cari amici,

Danilo

QUARANTASEIESIMO GIORNO – KATHMANDU

Miei cari amici, sono passati già diversi giorni da quando ho lasciato lo Shisha Pangma ed il Tibet.

Qui a Kathmandu mi sono ambientato, sto bene anche se un po’ sulle spine… sono giorni che corro di qua e di là per risolvere il problema del passaporto e posso felicemente comunicarvi che ho, in parte, risolto questo problema. Essendo presente in Nepal una semplice rappresentanza onoraria d’Italia, le questioni passaporti vengono gestite dal Consolato Italiano di Calcutta, India. Potete quindi immaginare tutti i “giri” per ottenere un nuovo passaporto. Una sorta di triangolo tra Nepal, India e Italia. La notizia è che mi arriverà tra giovedì e venerdì della prossima settimana, dopodiché richiederò, attraverso l’ambasciata indiana qui a Kathmandu, un nuovo visto per l’India. Nel frattempo mi dedico alla fotografia, alla visita dei siti più importanti della città, alla lettura e ad un po’ di relax. Anche se non vi nascondo che sto mettendo buone basi qui in Nepal in visione di progetti futuri ai quali sto già lavorando. Quando il corpo è costretto a rimanere fermo… lavora la mente. Essendo questa capitale estremamente cosmopolita, ho deciso di pubblicare le foto scattate per “sezioni”… in questo caso, come potrete vedere dagli scatti qui sotto, questa pagina la dedico alla religione Induista. Oggi ho visitato il cuore Hindu di Kathmandu. Un qualcosa di incredibile ai miei occhi e per il mio “cuore”. Ho passato l’intera giornata tra questa gente, credente a tratti eccentrica ma dotata di un fascino indiscutibile ed innegabile.

Credo che le foto parlino da sole e per questo non voglio continuare ad annoiarvi con i miei racconti e descrizioni… le prossime foto saranno dal cuore Buddista dell’imponente Stupa. BUONA VISIONE amici miei.

PS: di scatti ne ho fatti molti e selezionandoli cerco di trasmettere a voi che siete a casa ciò che passa davanti ai miei occhi comprese le crude immagini delle cremazioni fatte a cielo aperto, ma anche questo fa parte dell’importante religione Induista.

QUARANTESIMO GIORNO – RIASSUNTO TENTATIVO SCALATA SHISHA PANGMA

Amici miei, eccomi a Kathmandu in Nepal a scrivere dopo cinque settimane, quattro delle quali passate oltre i 5.000 metri di quota in Tibet, impegnato nella salita dello Shisha Pangma.

Innanzitutto, come sempre miei cari vi ringrazio con tutto il cuore per la vostra vicinanza anche in questa mia avventura e lungo tutta la scalata.

Gli aggiornamenti che ho pubblicato in queste ultime settimane attraverso il telefono satellitare sono sempre stati brevi e privi di fotografie, per questo ora cercherò di riassumere lo splendido mese “himalayano”  che ho trascorso salendo e scendendo più volte la quattordicesima montagna più alta del Globo.

Non sarà facile riassumere oltre un mese di avventure ma ci proverò…

Ho raggiunto il BC (Base Camp) alla quota di 5.000 metri a bordo di un fuoristrada in compagnia di Frank, Eelco e Jacob, “compagni” di spedizione in quanto tutti facenti parte della stessa agenzia (Asian Trekking) che ha gestito i permessi di ingresso in Tibet e i relativi permessi di salita alla montagna oltre che l’organizzazione del BC e del ABC (Advance Base Camp) per l’intero periodo, poco più di un mese. Un paio di giorni al BC e siamo ripartiti verso l’ABC a quota 5.600 metri circa. Questo punto (meta che resterà stabile per tutto il periodo come vero e proprio campo base della spedizione con tende fisse, tenda cucina, tenda mensa e relativo cuoco con due aiuti cuoco) è stato raggiunto con un trekking di 20 chilometri attraverso l’altopiano tibetano seguendo il corso del fiume riempito dalle acque che scendono direttamente dagli enormi ghiacciai dello Shisha Pangma e di altre montagne vicine. Gli yak hanno avuto il compito di portare tutto il “materiale pesante” dell’intera spedizione. Da qui è iniziata la lunga e impegnativa salita. All’ABC erano già presenti altre spedizioni impegnate nella scalata ed altre sono arrivate pochi giorni dopo di me. Ora non saprei quantificare il numero esatto ma circa una quarantina di persone compresi gli sherpa delle commerciali. Tutte le spedizioni impegnate nell’importante tentativo di arrivare a “quel punto”, quella sorta di chiodo fisso col nome di: 8.000. L’acclimatamento è stato gestito da me e da quasi tutti gli altri alpinisti presenti in modo naturale seguendo prima di tutto i “tempi genetici” del corpo e in seconda, ma non meno importante battuta, le condizioni meteorologiche. A volte quindi mi trovavo a salire insieme ad altri alpinisti oppure ci si trovava ai campi alti. Sono salito e sceso dalla montagna ben cinque volte. La prima dove ho montato il DC  (Depo Camp- Campo Deposito) alla quota di circa 6.000 metri sulla morena che anticipa l’Ice Fall. La seconda ho raggiunto i 6.380 metri dove ho montato C1 (Campo1) riponendo una buona parte dei materiali. Nella terza salita, ottima per l’acclimatamento, ho raggiunto la quota di 6.950 metri dove ho montato un ulteriore tenda stabilizzando C2 (Campo2) e dopo aver passato la notte sono nuovamente sceso all’ABC. A questo punto tutto era pronto… i campi erano stati montati, il materiale portato fin su e l’acclimatamento svolto. L’attacco alla cima sarebbe stato imminente. Passati i giorni del recupero, sono ripartito con l’obiettivo di attaccare la vetta nella notte dopo tre giorni di salita. Dall’ABC ho raggiunto, dopo una lunga scalata, C1 dove ho passato la notte. L’indomani alla volta di C2. Ero felicissimo e molto carico. Fisicamente stavo bene anche se stanco e un po’ provato ma niente mal di testa e nessun senso di nausea. Ero pronto a  portare la tenda all’ultimo campo, C3 (Campo3) sullo spallone a 7.460 metri da dove sarei partito a mezzanotte circa per attaccare la cima. Nel tardo pomeriggio una squadra di quattro forti alpinisti spagnoli con più ottomila alla spalle sono rientrati nel mezzo della bufera insieme a tre sherpa (parte della stessa spedizione) con la brutta notizia del fallimento della cima causa valanghe, neve alta ed instabile. Queste le parole degli sherpa (uno dei quali ha raggiunto nella sua vita ben 5 volte la cima dell’Everest): “La neve è in condizioni pessime. Cade tutto. Nuotavamo in mezzo alla neve. Impossible, impossible, impossible.” Queste parole mi risuonano ancora nella testa. Il meteo continuava a peggiorare. Assenza di visibilità, vento a raffiche forti e la neve che continuava a scendere iniziando a coprire le tracce. Quella notte, malgrado il gran freddo e la quota sono riuscito comunque a riposare rimanendo fiducioso sul giorno successivo, giorno in cui mi sarei spostato su C3. Purtroppo il risveglio dopo l’alba mi ha riservato una pessima sorpresa: il meteo è rimasto quello della sera prima. Il contatto telefonico con l’Italia mi annunciava un repentino peggioramento per quattro giorni e una successiva finestra di almeno tre giorni di tempo sereno e stabile con abbassamento delle temperature. Preso atto di questa notizia mi sono trovato quindi costretto a scendere nuovamente al ABC. Il mio corpo a quel punto era sempre più stanco e provato ma mentalmente carico e convinto di farcela all’interno della futura finestra di meteo bello. Nel frattempo l’ABC ha cominciato a spopolarsi. Eravamo rimasti solo in sei persone: io insieme agli altri due alpinisti della stessa agenzia (il quarto, Jacob, aveva abbandonato giorni prima), il cuoco e i due aiuti cuoco. I quattro giorni li ho passati tra riposo fisico e tensione mentale in vista del secondo tentativo. Purtroppo la neve caduta è stata abbondante e oltre ad aver coperto completamente le tracce che duravano da un mese, ha reso complicato tutto. Sono partito insieme ai due alpinisti rimasti per questo ultimo e strenuo tentativo, forse folle, verso ed oltre gli 8.000 metri. Siamo partiti con un meteo pessimo dopo aver pregato gli dei che ci seguissero in queste difficili giornate. La visibilità rimaneva ancora a pochi metri, assenza di vento e neve che cade oltre che essere abbondante a terra. Dall’ABC al DC un disastro. Le rocce scivolose e cariche di neve hanno reso difficile il cammino. L’Ice Fall si era trasformata in “Snow Fall” difficile da scalare. Il raggiungimento infine di C1 è stato durissimo. La neve che arrivava al ginocchio, la traccia da battere e l’altissimo rischio di finire in un crepaccio coperto e “nascosto” dalla neve senza contare il pericolo valanghe data la situazione meteo dei giorni passati. Queste le ultime due ore prima di raggiungere C1 dopo quasi 10 ore di salita: “manca poco, almeno cosi sembrava, la visibilità peggiora sempre più, sono davanti agli altri due, guido il gruppo mentre la notte inizia a calare compresa la temperatura. Un boato tipo un tuono di temporale penetra i miei timpani, mi blocco insieme agli altri, sposto lo sguardo alla mia destra e alzandolo mi accorgo che una grossa valanga si era appena staccata e sta scendendo travolgente a poca distanza da noi. Cerchiamo, inutilmente, di “scappare” ma a quelle quote, con quel pendio e con quella neve è impossibile. La fortuna ci ha baciati, la massa nevosa passa ad una manciata di metri da noi. Il ricordo della spinta del “vento” successiva è ancora vivo in me. La notte scende velocemente, evito il panico ma… nemmeno le luci frontali ci aiutano a ritrovare le nostre due tende, unica salvezza in quel difficile momento durato oltre un’ora. Abbiamo molto freddo. Uno dei due alpinisti dietro me lamenta sofferenza alle mani e sembra stia cominciando il processo di congelamento delle prime falangi ormai insensibili. Cerco di aiutarlo ma non possiamo perdere altro tempo. Estraggo il GPS, una sola tacca di batteria ci salva la vita. Mi ringraziano come non aveva mai fatto nessuno prima d’ora. Entro in tenda infreddolito ma vivo. Mentre tolgo i ramponi penso al filo sottile tra la vita e la morte. Ho dormito bene e ho passato una bella notte malgrado l’aumento del vento. La mattina successiva il risveglio e il sole alto in cielo senza nuvole mi ha dato una gran carica. Sono partito in compagnia degli altri due, ormai amici, verso C2 ma dopo un’ora di dura marcia su una neve difficilissima per altezza e consistenza, con l’aumento significativo del pendio davanti al primo “muro” di neve abbiamo deciso di rinunciare per impossibilità a salire e per l’altissimo rischio valanghe. Calcolate che in una sola mattinata ho contato da C1 ben diciannove valanghe! Pazzesco. A quel punto loro hanno deciso di scendere abbandonando così C2. Io sono rimasto e l’indomani ci ho riprovato. Nuovamente la fortuna è venuta in mio aiuto, diciamo che mi sono giocato l’ennesimo jolly. Salendo il “muro” di neve un crepaccio si è aperto inaspettatamente sotto i miei piedi, ho sentito il vuoto e il gelo in cuore. Sono finito dentro questo buco profondo centinaia di metri con la fortuna di bloccarmi a metà busto. Con energia e rapidità usando la piccozza sono uscito, ho dato uno sguardo alto in cielo e ho deciso amaramente di tornare giù dando la salita alla cima come: IMPOSSIBLE. Ho così iniziato a dirigermi a fatica verso l’ABC. Non essendo riuscito nemmeno a raggiungere C2 una parte del materiale è rimasta a 7.000 metri all’interno della mia tenda. Purtroppo tra questi materiali, in una tasca interna dello zaino già preparato per la cima, ho scordato il passaporto con allegato visto India. Il mio contatto cinese mi ha aiutato ad uscire indenne dal Tibet e ora mi trovo qui a Kathmandu nel mezzo dei festeggiamenti nazionali in attesa che il Consolato Italiano riapra così da permettermi l’esecuzione delle faccende burocratiche necessarie per rifare passaporto e visto.

Ho un bellissimo e grandioso ricordo di questo importante mese di alpinismo puro e grande avventura. Per la prima volta ho avuto un rapporto così “intimo” con una montagna e per la prima volta mi sono sentito così vicino al “cielo”.

Ringrazio tutte le persone che in un modo e in un altro mi sono state vicine anche se a migliaia di chilometri di distanza o a pochi metri in mezzo alla neve… ringrazio il Tibet per i panorami mozzafiato e indescrivibili che mi ha regalato… ringrazio lo Shisha Pangma, la magnifica “cresta al di là dei pascoli” per avermi permesso tutto ciò e ringrazio gli dei per la fortuna che mi hanno dato.

 

Danilo.

 

 

 

 

TRENTASEIESIMO GIORNO

Messaggio inviato da telefono satellitare:

N 28° 26′ 468”

E 085° 46′ 557”

Ieri con grande difficoltà sono riuscito a rientrare al Campo Base Avanzato a 5640 m di quota. Ho scelto di rinunciare alla vetta perché c’è troppa neve, caduta nei giorni scorsi, che cela innumerevoli pericoli. Sono uscito per pura fortuna da un crepaccio e altre 3 valanghe mi hanno graziato. Posso dire di essere vivo per miracolo. Sono arrivato al limite delle mie forze, non mangio da 3 giorni, ma nonostante tuttociò mi sento vivo e sono molto molto felice per questa grande avventura Himalayana. Proprio a causa delle condizioni ho abbandonato tutto il materiale al Campo 2 e oggi ritornerò alla civiltà. Appena arriverò a Kathmandu aggiornerò ancora il blog anche con qualche foto.

Un enorme abbraccio a tutti amici miei,

Danilo

TRENTATREESIMO GIORNO

Messaggio inviato da telefono satellitare:

N 28° 22’ 578”

E 085° 45’ 030”

Oggi dopo 9 ore di fatica sono arrivato al Campo 1  a quota 6378 m. La visibilità è ridotta a pochi metri dai miei occhi, la neve dei giorni scorsi, mi arriva alle ginocchia e battere traccia da solo è stata davvero molto dura. Durante la salita il pericolo di incappare in crepacci aperti è stato molto alto e si sono staccate anche 2 valanghe, una non molto lontana da me. Ho raggiungo con il buio la tenda e sono riuscito a trovarla solo grazie al gps, poiché era sommersa dalla neve. E’ una delle giornate più fredde e non vi nascondo che sono stanco, ma domani dovrebbe uscire finalmente il sole.

Vi abbraccio tutti,

Danilo